lunedì 25 luglio 2011

Mazda2 1.3 Fun

Mazda2 1.3 Fun - La luce arancio scalda un abitacolo lievemente freddo: la dieta ha colpito anche le plastiche, tutte sul croccante, ma il volante in pelle e sportivamente a tre razze riconcilia le sensazioni tattili. Il primo viaggio in autostrada si annuncia lungo, vorremmo ascoltare il nostro mp3 player e la Mazda2 segna subito un punto a suo favore. In basso, tra i due sedili vicino all’accendisigari, c’è infatti la magica presa Aux. Evviva. L’entusiasmo si raffredda solo un poco durante il viaggio: la dieta, come dichiara la stessa Casa, ha colpito anche gli speaker, che sono leggeri e (diciamo noi) suonano poco profondi.

Si perde qualcosa invece alla voce "spesa della domenica" e abitabilità. Sorprendentemente ospitale considerando le dimensioni e il taglio sportiveggiante (per inciso la nuova è più bassa e più corta del modello che sostituisce), sono invece alcuni particolari a segnare il passo. Lo schienale posteriore si abbatte anche in frazione, ma il piano seduta rimane al suo posto e se come capitato a noi dovete trasportare la poltrona della solita amica a cui non si può dire di no… mettete in preventivo qualche fatica aggiuntiva. C’è invece il portariviste integrato nel cassetto di fronte al passeggero: era ora che qualcuno pensasse agli aficionado dell’edicola a mezzanotte.

E sui lunghi percorsi? Per feeling e sensazioni la Mazda2 si fa onore ma rispetto ad altre colleghe pesanti e raffinate perde qualche punto alla voce comfort, nonostante una quinta di riposo che abbassa la voce del motore. Non è tanto il frullare dei pistoni quanto quello di rotolamento a occupare l’abitacolo. Ecco il prezzo da pagare alla filosofia intelligente: qualche pannello fonoassorbente avrebbe aiutato. Si potrebbe obbiettare che il downsizing non significa necessariamente semplificazioni, ad esempio per gli aerei si segue la strada dei materiali compositi. Ma la Mazda2 si porta a casa sui 14.000 euro, quindi tutto rientra nella normalità.

Abbiamo invece apprezzato oltremodo i gruppi ottici: anche in viaggi notturni la luce giusta non manca mai. Abbandoniamo la Mazda2 proprio quando ci eravamo abituati al suo spirito leggero. Il bello e il meno bello. Un mix tra gusto di guida, value for money, immagine e consumi davvero ridotti. Nonostante autostrada, ingorghi prefestivi e il piede pesantino - la piacevolezza complessiva invita alla guida giovane - abbiamo registrato una media complessiva superiore ai 14 km litro. Furba e divertente. Ma non pretendetela pure perfetta.

Cadillac BLS Wagon

Cadillac BLS Wagon - Il model year 2008 della BLS non vede solo la wagon, ma anche l’arrivo (pure per la berlina) del turbodiesel bistadio (doppio turbo sequenziale) da 180 cavalli e volendo delle quattro ruote motrici, disponibili (purtroppo) solo con il 2,8 litri V6 benzina. Il format modaiolo da station dovrebbe coprire secondo le previsioni circa la metà delle vendite. La scelta di turbodiesel (150-180 cv), turbo benzina anche flexifuel e trazione integrale segna un’attenzione rinnovata per le esigenze europee.

Ad aiutare la riconoscibilità notturna i led verticali dei gruppi ottici posteriori, che differenziano il b-side della BLS da qualsiasi altra station. Il leit motiv del "verticale", che vale per gruppi ottici e anche per la consolle centrale (concetti esasperati dalla CTS progettata dal foglio bianco e non soggetta a vincoli di base comune), serve proprio a rendere la famiglia Cadillac riconoscibile anche di notte al primo sguardo. Speriamo bene, l’avevano detto anche per la Thesis…

La qualità e l’accoglienza delle sedute, europee per design e consistenza, sono la prima cosa che colpisce una volta aperte le portiere. Così come plancia, plastiche e resa dell’impianto hi-fi e navigatore, assolutamente confortanti. L’orologio analogico simil lusso è invece un filo kitch. Con sedili in pelle regolabili elettricamente, in un attimo si trova la posizione giusta (memorizzabile) e si viene coccolati dal tutti gli optional immaginabili. Ma non tutti sceglieranno di spendere tanto.

Il livello successivo, Elegance, in cambio di altri 2.790 euro, aggiunge sensori pioggia per i tergi, sedili elettrici, clima bizona e cerchi da 17". Per chi preferisce lo Sport, con altri 100 euro ci si portano a casa cerchi da 18" e assetto sportivo. Esiste poi il pacchetto Sport Luxury, che completa la dotazione "all inclusive" con fari Bi-Xenon, sedili in pelle elettrici e riscaldati con memoria. Servono 40.160 euro.

Altri optional interessanti sono il cambio automatico a 2.100 euro, il sistema Audio Bose con caricatore CD (1.000 euro stand-alone) che in accoppiata al navigatore DVD richiede 3.130 euro. Il balzello della vernice metallizzata è di 750 euro. In Cadillac dicono di puntare soprattutto sulla competitività della dotazione e del "pacchetto".

Renault New Kangoo 2008

Renault New Kangoo 2008 - Se non si può forse parlare di rivoluzione, occorre però dire che l’evoluzione è profonda. Vedendo il nuovo Kangoo accanto a quello "vecchio" la prima cosa che si nota è l’aumento delle dimensioni esterne, mascherato un po’ dalla classica proporzione tra i volumi. Metro alla mano, il Kangoo mette su una taglia buona, con la lunghezza che cresce di 18 cm, fino a un totale di 421. Il passo fa a sua volta stretching e mette su 10 cm, arrivando a 270 cm. Stessa scena anche per la larghezza, che fa segnare un + 15 cm. Il perché della metamorfosi è presto detto: se il Kangoo attuale utilizzava il pianale Clio, il modello prossimo venturo impiega invece la base della Scenic.

Con la carrozzeria che lievita, l’abitacolo diventa molto più spazioso. Lo spazio disponibile in larghezza è tanto e tre passeggeri adulti possono convivere sulla fila posteriore senza trovarsi a sgomitare. Stessa scena anche per tre eventuali seggiolini per bambini, che si sistemano senza fatica uno accanto all’altro. Le ginocchia hanno ora lo stesso grande spazio che avrebbero sull’ammiraglia Vel Satis e c’è quasi una spanna d’aria tra la testa e il tetto.

Sopra i posti anteriori può così essere montata una mensola a soffitto e sopra quelli posteriore un terzetto di cappelliere in stile aereo. I vani portaoggetti sparsi qua e là per l’abitacolo fanno totalizzare una capacità totale di 77 litri. Il bagagliaio vero e proprio ha invece un volume utile di 660 litri con cinque passeggeri a bordo (1.300 sfruttando ogni centimetri fino al tetto). In configurazione biposto, con i sedili posteriori ripiegati a formare un piano di carico piatto, la capacità sale fino a 2.600 litri, mentre sacrificando anche il posto del passeggero anteriore si possono caricare oggetti lunghi fino a 2 metri e mezzo. Per i trasporti eccezionali ci sono anche le barre sul tetto, pronte a trasformarsi in portapacchi che regge fino a 80 kg, grazie a un pratico snodo.

La versione Dynamique dispone in aggiunta tra le altre cose di alzacristalli elettrici, climatizzatore manuale, contagiri, portaoggetti tra i sedili anteriori e sopra il parabrezza, due porte laterali scorrevoli anziché una e tavolini posteriori tipo aereo. Questo allestimento si può avere con tutti i motori tranne che con il dCi da 70 cv. In questo caso i prezzi sono di 16.300 euro e 16.900 per i due 1.600 a benzina e di 17.850 euro e 18.450 per i due 1.5 dCi da 85 e 105 cv. Per quest’ultimo l’eventuale filtro per il particolato ha un costo di 500 euro.

Honda CR-V 2.2 CTDi

Honda CR-V 2.2 CTDi - Lo stile poco rude delle lamiere e l’ambiente abitativo fatto con cura, con un ripieno di gadget tecnologici e la vetrata a mo’ di tetto, definiscono un ambiente più da lobby lounge che da offroad. Niente abitudini spartane anzi, tante raffinatezze, come ad esempio la leva del freno a mano che si risolve brillantemente in una cloche di foggia aeronautica. Si impugna bene e fa scena. Oppure la praticità del cambio spostato in alto e del vuoto tra i due sedili sul pavimento. Si riscoprono spazi e movimenti vietati dalle auto moderne: se volete uscire dalla portiera del passeggero niente acrobazie.

In movimento rimane sommesso il ticchettio del pluripremiato 2.2 diesel: si sente solo da fermo e accelerando nelle marce basse. Per il resto a tutte le velocità e in tutte le situazioni a bordo della CR-V si viaggia veloci e nel silenzio, anche su buche e asfalti rumorosi. Il volante quasi da sportiva regala confidenza e non impone ritardi tra intenzione e azione. Tra sedili in pelle, comfort complessivo, visibilità agevolata da una statura leggermente superiore alla media… delle auto normali, e approccio alle curve non penalizzato da scocche dondolanti non si rimpiangono in alcun modo le berline.

Quel che manca in reattività al pedale il CR-V lo rende proprio nei lunghi trasferimenti. Dove il grado di sicurezza reale e percepita arriva al top di classe e per il guidatore ci sono solo rose. Il radar che aiuta il controllo di velocità a guadagnare intelligenza funziona davvero bene: vede gli ostacoli molto prima dei nostri occhi. Come per incanto abbiamo desiderato un salto nel futuro completo: quando finalmente i prodigi della meccatronica ci potranno far scegliere tra tenere le redini o affidarle, in certe condizioni, alle mani sicure e sapienti dei bit.

Stesso discorso se vi avvicinate troppo - magari per distrazione in tangenziale - a chi sta davanti: una bella strattonata della cintura vi sveglierà dal torpore, fino a frenare per voi se i vostri riflessi sono da lunedì mattina. Aiuti elettronici intelligenti che non tolgono il gusto della guida, ma assomigliano ad un angelo custode. A noi sono piaciuti e quando siamo passati su altri Suv ne abbiamo sentito la mancanza.

D’obbligo tenerla lucida, le donano i colori scuri e chi la guida deve padroneggiare la tecnologia per essere intonato. Ed evitare tenute da mandriano. Più che reinventato il SUV è stato destrutturato. Tanto che sembrerebbe perfetto, complice il romantico tetto in vetro, per guardare le stelle o… sognare una versione Type R.

Kia pro_cee'd

Kia pro_cee'd - Sull’onda del successo del resto della gamma cee’d, capace raccogliere 5.600 ordini in 10 mesi e di chiudere quarta nella classifica dell’Auto dell’anno 2008, arriva ora la pro_cee’d. E’ lei la sorella tuttopepe, quella destinata a piacere più ai figli che non ai padri. Il suo look riporta alla memoria quello della prima concept che prefigurava la compatta coreana. Rispetto alla cee’d tutta casa e ufficio, la porte si differenzia soprattutto per la fiancata. Sulla pro_cee’d il taglio della linea di cintura è più a cuneo e i lamierati sono più estesi, per dare un’aria più sportiva.

In attesa di una variante GT con motore due litri da 185 cv e 230 km/h realizzata in collaborazione con l’atelier tedesco Holzer, attesa entro la fine dell’anno, il listino si articola attorno a tre motori e a due livelli di allestimento. Quanto ai primi, la motorizzazione d’accesso è la 1.600 a benzina da 126 cv a 6.300 giri e con una coppia massima di 154 Nm. Quanto basta per toccare i 192 km/h e scattare da 0 a 100 in 10,8 secondi, con una percorrenza media di 15,6 km/litro. Questo motore è anche l’unico a poter disporre a richiesta di cambio automatico al posto di quello manuale a cinque marce che fa da comun denominatore all’intera gamma. A completare l’offerta ci sono le due versioni da 90 e 115 cv del turbodiesel 1.600 CRDi, con una coppia massima rispettivamente di 235 Nm a 1.750 giri e di 255 Nm a 1.900 giri. Nel primo caso velocità massima, tempo di accelerazione e percorrenza media sono di 172 km/h, 13,5 secondi e 21,3 km/litro; nel secondo si parla invece di 188 km/h, 11,4 secondi e 20,8 km/litro.

La pro_cee’d 1.6 a benzina e la turbodiesel da 90 cv sono disponibili soltanto con l’allestimento base LX, che ricalca fedelmente quello omonimo della cee’d a cinque porte. Il tutto, nell’ordine, a 15.650 e a 16.550 euro. La dotazione standard è giù piuttosto completa e si compone tra le altre cose di sei airbag, i poggiatesta attivi, il computer di bordo, la radio CD con comandi al volante, i controlli elettronici della stabilità e della trazione e climatizzatore manuale. La pro_cee’d 1.6 CRDi 115 cv è invece offerta soltanto in versione Sport, a 19.250 euro. Il suo equipaggiamento si arricchisce di fendinebbia, caricatore CD in plancia, prese Usb, Aux e per iPod, cerchi in lega da 17" con gomme da 225/45 (per la LX sono da 205/55-16 su cerchi da 16"), pedaliera in metallo, vetri oscurati e rivestimenti in misto pelle. Per tutte le pro_cee’d, così come per la cee’d, sono previsti sette anni da garanzia su motore e trasmissione (cinque sul resto dell’auto) e altrettanti di assistenza stradale Europe Assistance.

Altro punto in comune tra le versioni a tre e a cinque porte è lo sconto previsto dalla Casa nella fase di lancio (ma che l’esperienza insegna diventa poi a tempo indeterminato). Acquistando la pro_cee’d non si deve dunque sborsare davvero quanto sopra indicato. Al listino si deve infatti togliere la cifra di 1.300 euro. Certo, sarebbe più semplice dichiarare subito un listino più basso, ma così si dà l’idea all’acquirente di fare un migliore affare.

Nissan Almera Tino 2200 TD

Nissan Almera Tino 2200 TD - L’Almera Tino è una monovolume dalle linee sobrie, tendente all’ovale nella sagoma e caratterizzata dalle fiancate scoscese. Non ci sono note stonate nel suo design, che semplicemente difetta un po’ di personalità. I particolari, le giunture e la verniciatura soprattutto, fanno però capire a un attento osservatore che si tratta di una macchina costruita bene, senza la mentalità del risparmio a tutti i costi che spesso rende misera un’idea geniale.

Ci ha particolarmente convinti l’impianto stereo di serie, completo di lettore cd e di comandi satellite al volante. Ben disegnato nella grafica esterna, è il classico elemento che in viaggio (e la Tino è costruita eminentemente per viaggiare) si rivela in tutta la propria importanza. Internamente la monovolume è dotata di luci separate, in grado di illuminare l’abitacolo parzialmente, senza infastidire il guidatore. Ha poi un comodo portaocchiali, posto sopra il retrovisore, e tantissime tasche e vani portaoggetti per riporre qualsiasi cosa possa dare fastidio.

Deludente anche l’impianto di condizionamento: con tutte le regolazioni al massimo, il fresco si fa aspettare per molti minuti. Tanto vale tenere aperti i finestrini. Per questi reato (ma solo per questi), Tino condannata, anche se con molte attenuanti: prima tra tutte la robustezza complessiva della vettura, forse acusticamente enfatizzata dal rombare cupo ma quieto del suo motore.

Dacia Sandero

Dacia Sandero - L’appetito, si sa, vien mangiando. E così, dopo quattro anni di vendite a gonfie vele da parte della Logan, quelli della Dacia hanno deciso di lanciarsi in una nuova sfida. Il ruolo di best-seller in certi Paesi Emergenti come Romania e Marocco e di outsider "minimal chic" nei mercati principali inizia ad andare un po’ stretto alla Casa di Pitesti. Alla Dacia sono pronti ora a confrontarsi con le principali protagoniste del segmento B sul loro terreno, cimentandosi in una compatta a due volumi e cinque porte, la nuova Sandero.

Il vocabolo non è usato a sproposito. Il legame di parentela tra le due Dacia è strettissimo. La Sandero nasce infatti sulla stessa piattaforma della Logan con cui ha in comune anche lo schema delle sospensioni, tipo McPherson all’anteriore e interconnesse al posteriore. A fare da denominatore comune ci sono anche un’altezza minima da terra importante (per la Sandero siamo a quota 155 mm) e ampie protezioni per il sottoscocca. Giusto quel che serve, assieme a molle e ammortizzatori extrastrong per avere rapporti occasionali con gli sterrati senza rischiare danni alla salute degli organi meccanici. Per i più avventurosi si segnala inoltre un kit estetico con protezioni più vistose e con finitura metallica, disponibile come accessorio e che dà a questa Dacia un tocco… suvveggiante.

Chi sfoggia un aspetto totalmente nuovo è la plancia, anche se i più fisionomisti possono riconoscere qua e là componenti di derivazione Renault. Lo stile è moderno, meno squadrato che sulla Logan, con un più ampio ricorso a plastiche scure, dall’aria più elegante e prestigiosa. Un’altra figura fanno anche i pannelli delle porte, finalmente dotati (almeno quelli davanti) di maniglie degne di tale nome. Complice la nuova veste cromatica, la qualità percepita migliora sensibilmente. Sensazioni a parte, le finiture badano soprattutto al sodo. Di materiali pregiati non c’è traccia. Le plastiche sono in ogni caso di sana e robusta costituzione e gli assemblaggi sono ben saldi.

Sempre a settembre inizieranno le prime consegne, a ridosso del "porte aperte" che si terrà nel weekend del 20 e 21. Già da subito è possibile comunque ordinare la macchina, visto che prezzi e dotazioni sono già definiti. Ad aprire le danze è la versione base, che fa economia di tutto, anche di un nome particolare, e si chiama semplicemente Sandero. Scarna che più non si può, è priva anche di servosterzo e chiusura centralizzata ma ripaga le rinunce con un prezzo da saldi, di soli 7.350 euro in abbinamento al motore 1.400. Con 8.350 euro si porta invece a casa l’Ambiance con di serie appunto il servo e la chiusura, oltre alla funzione di ricircolo per l’aria e la regolazione in altezza delle cinture di sicurezza. La versione top è infine la Lauréate, proposta a 9.050 euro con il 1.400 e a 9.550 con il 1.600. In questo caso diventano standard tra le altre cose anche i vetri elettrici, lo schienale posteriore frazionato, i fendinebbia, il telecomando della chiusura centralizzata e il sedile e il volante regolabili in altezza. Il climatizzatore manuale è offerto in opzione assieme alla radio sulle Ambiance e Lauréate a 1.000 euro spaccati o da solo a 850.

Porsche Cayenne S Transsyberia 2008

Porsche Cayenne S Transsyberia 2008 - Nonostante l’eccellente risultato ottenuto nel 2007, gli ingegneri tedeschi non sono stati con le mani in mano e hanno lavorato molto per migliorare le auto da gara e renderle ancora più efficaci e resistenti nel fuoristrada. Rispetto al passato alcune modifiche si notano a occhio nudo, mentre altre sono celate alla vista. Confermato il tocco di arancione a livello della livrea, tra le novità più evidenti c’è il diverso taglio dei paraurti, disegnati più attillati per migliorare gli angoli di attacco e di uscita e limitare il rischio d’incontri troppo ravvicinati con il terreno.

Oltre che per le buche, la Cayenne Transsyberia 2008 è attrezzata anche per superare con maggior disinvoltura i guadi. Con le guarnizioni ottimizzate, il pavimento e le porte assicurano una tenuta stagna fino all’altezza dei finestrini. Come se non bastasse, molti componenti elettrici sono spostati in alto o comunque laddove l’acqua non riesce ad arrivare. La scheda tecnica parla di una profondità massima superabile in condizioni standard di 78 cm, pronti però ad aumentare considerevolmente con il semplice montaggio dello snorkel per il sistema di alimentazione.

Quanto invece alla meccanica, non si segnalano interventi di rilievo. Il V8 da 4,8 litri e 385 cv è sempre quello della Cayenne S, con l’aggiunta di uno scarico sportivo che permette di risparmiare qualche chilo sulla bilancia e godere di un sound un po’ più corposo quando si stuzzica l’acceleratore. Sul fronte trasmissione c’è il cambio standard, un automatico a sei marce modificato solo a livello dei rapporti, che sono poi quelli accorciati che utilizza la versione GTS. La trazione è integrale permanente Porsche Traction Management, con una ripartizione base della coppia motrice 62:38 tra ruote posteriori e anteriori. In caso di necessità, comunque, la centralina – aggiornata nel software - può cambiare le carte in tavola e scaricare anche tutta la potenza su un solo asse.

Quanto la motricità sia buona lo abbiamo potuto sperimentare sul campo, accomodandoci prima accanto al compassato Rod Millen e poi vicino all’irruente Tonino Tognana sul percorso di prova allestito dalla Porsche per gli equipaggi iscritti al Transsyberia 2008. Guidata in modo pulito o con il coltello tra i denti, questa Porsche fa comunque un figurone, rivelando potenzialità enormi. Tra le mani dell’arzillo cinquantaseienne neozelandese (dal 1994 al 2007 detentore del tempo record della Pikes Peak) ha mostrato soprattutto un grande bilanciamento sui tratti veloci, rivelandosi ben controllabile anche tenendo sullo sterrato velocità da autobahn.

Audi Q5 2008

Audi Q5 2008 - A voler ben vedere anche l’ultima nata non è poi così "ina": metro alla mano, misura 463 cm per 188 di larghezza e 165 di altezza. Ce n’è abbastanza per poter parlare di downsizing senza nemmeno un’ombra di "vorrei ma non posso". La presenza scenica della Q5 è notevole e non serve essere grandi fisionomisti per cogliere il family feeling con il resto della gamma. La calandra single-frame, qui più vorace che mai, i fari rettangolari che si spingono all’indietro e gli sbalzi ridotti ai minimi termini sono i geni forti, tipici dei membri della tribù Audi.

Nell’insieme il colpo d’occhio è sportivo, con la Q5 che sembra ben piantata a sulle ruote, senza essere però rasoterra. Giusto per la cronaca, anche se ben pochi clienti si sogneranno mai di avventurarsi nel fuoristrada vero, in Audi parlano di numeri di tutto rispetto per una off-road. Pendenza massima superabile di 31°, angoli di attacco e di uscita di 25°, altezza minima da terra di 20 cm e capacità di guado di 50 cm sono cifre che hanno poco da invidiare alla concorrenza più blasonata. Giusto l’angolo di dosso di 17° non è eccezionale ma all’utente della Q5 interessa sicuramente di più che il passo di 281 cm gli garantisca un’abitabilità degna di una berlina di rango e una capacità di carico compresa tra i 540 e i 1.560 litri.

Quanto invece ai motori, la gamma Q5 si articola per ora attorno a tre proposte, tutte note anche se tirate a lucido per il nuovo abbinamento. La versione più attesa utilizzerà il turbodiesel 2.0 TDI in configurazione da 170 cv e 350 Nm (204 km/h, 0-100 in 9,5 secondi e 14,9 km/litro di media), che guadagna in questa occasione un nuovo impianto di iniezione. Quando inizierà la prevendita, a settembre (con consegne a partire da novembre), sarà possibile averlo solo con il cambio manuale a sei marce, mentre in un secondo tempo sarà disponibile anche in alternativa il cambio robotizzato a doppia frizione S tronic a sette marce. Questo tipo di trasmissione è standard invece con gli altri due motori, il due litri TFSI a benzina da 211 cv e 350 Nm (222 km/h, 7,2 secondi e 11,8 km/litro) e il tre litri V6 TDI da 240 cv e 500 Nm tondi tondi (225 km/h, 6,5 secondi e 13,3 km/litro). In un secondo tempo, ai primi del 2009, la gamma si amplierà anche con l’arrivo del 2.0 TFSI a cambio manuale e del V6 3.2 FSI da 270 cv con cambio S tronic.

Volvo V50 Powershift

Volvo V50 Powershift - Ok, mai fidarsi delle statistiche, e probabilmente anche delle indagini di mercato visti i risultati (gli errori negli exit-poll delle elezioni avrebbero dovuto insegnare qualcosa). Tuttavia, con il senno di poi, la richiesta crescente di cambi automatici su determinate vetture un pochino si sarebbe potuta prevedere. Non foss’altro per i progressi compiuti dalla tecnologia in questo campo, grazie ai quali è possibile trovare trasmissioni automatiche talmente raffinate (vedi il cambio DSG a doppia frizione Audi/Volkswagen) da indurre molte più persone del solito a preferirle al cambio meccanico tradizionale.

Realizzato dalla Volvo in collaborazione con la Getrag (partner storico della Casa svedese nella fornitura di trasmissioni) il Powershift ha come principio di funzionamento quello di due scatole del cambio manuale parallele, con due frizioni a bagno d’olio indipendenti l’una dall’altra in luogo del convertitore di coppia. Una frizione controlla le marce dispari, l’altra quelle pari. Quando si innesta una, l’altra si disinserisce e si prepara alla cambiata successiva. Il vantaggio è quello di ridurre al massimo i tempi di passaggio da una marcia all’altra e annullare le perdite di potenza e coppia.

Realizzato per affrontare livelli di coppia fino a 450 Nm, il Powershift viene utilizzato oggi solo in associazione al 2.0 litri in questione, che dispone di 136 cv e 320 Nm di coppia. Lo stesso montato sulla V50 che abbiamo utilizzato per il test stradale sulle colline bolognesi. La risposta del nuova cambio automatico in effetti è sempre puntuale, fluida, continua, senza esitazioni e senza buchi di potenza con conseguente effetto mal di mare, come accade con gli automatici meno raffinati. La velocità di cambiata è impercettibile, sia nella guida su strade tortuose, sia nelle ripartenze repentine. Ideale per chi desidera guidare dimenticandosi davvero delle marce.

Come gli altri automatici, il Powershift offre anche la funzione automatica sequenziale, ma non prevede le alette sul volante: chi vuole restare legato alla tradizione che lo sia fino in fondo. Con il sequenziale le cose cambiano molto, visto che è il pilota a selezionare le marce più adatte...

Hyundai i10 1.1 Style

Hyundai i10 1.1 Style - In un mercato che continua a navigare in pessime acque, c’è un settore che va invece a gonfie vele. Si tratta del segmento A, quello delle citycar, che non solo cresce in termini relativi, rispetto dunque agli altri, ma lo fa anche in termini assoluti, con volumi in crescita costante. Nei mesi scorsi si addirittura verificato un momentaneo ma storico sorpasso da parte della Panda alla Punto nella classifica delle best-seller. Chi compra una piccola lo fa per risparmiare ma queste auto possono davvero rappresentare una valida alternativa a mezzi di categoria superiore? Per vederci più chiaro abbiamo provato in lungo e in largo una tra le più recenti outsider della categoria, la Hyundai i10, nella versione 1.1 Style.

La Casa coreana svolge il tema della piccola tuttofare senza lasciarsi andare a colpi di testa e facendo mordere il freno ai disegnatori. Dalle loro matite sono uscite forme che non fanno girare la testa per strada ma che hanno due pregi: possono piacere a tutti, uomini e donne, giovani e meno giovani, e sembrano destinate a invecchiare bene, senza passare in fretta di moda. Le proporzioni tra i volumi sono quelle tipiche della categoria: frontale corto e tozzo e taglio da monovolume tascabile, con il portellone dritto sull’attenti per non sprecare centimetri i parcheggio.

La carrozzeria poggia su cerchi da 14" gommati 165/60. Il loro aspetto è un po’ esile ma sono quel che serve per abbattere i costi d’acquisto e di esercizio e, cosa non da poco, permettono di guadagnare qual cosina sul fronte abitabilità. In questo senso la i10 si fa apprezzare, anche se i cinque posti dichiarati sembrano un po’ ottimistici. Lunga 357 cm, larga 160 e alta 154, ospita senza problemi anche quattro granatieri mentre la presenza di un eventuale terzo occupante sul divano crea qualche problema di convivenza. I centimetri mancano però solo in larghezza, mentre non ci sono problemi a livello di ginocchia e testa.

Daihatsu Terios 1.5

Daihatsu Terios 1.5 - Al primo contatto la giapponesina desta qualche perplessità. Con il volante che si regola solo in altezza, la triangolazione con il sedile e la pedaliera non è perfetta, almeno per chi ha, come me, un’altezza e un peso al di sopra della media. L’impressione che ci sia qualcosa di perfettibile è dovuta anche alla posizione della corta leva del cambio, che resta un po’ lontana e non è comodissima da azionare. Il tutto richiede comunque giusto un po’ di assuefazione e dopo qualche decina di chilometri non si fa più tanto caso alla cosa.

Una volta sistemato il sedile di guida, vale comunque la pena di fare un giro perlustrativo, sedendosi dapprima sul divanetto e dando poi uno sguardo al bagagliaio. E’ difficile che alla fine le labbra siano ancora ben serrate: nella zona posteriore si scopre infatti una quantità di centimetri sorprendente, che farebbe supporre sacrifici sul fronte della capacità di carico. Nulla di tutto questo, invece: per stivare le masserizie varie ci sono ben 380 litri. Niente male per un’auto che supera i quattro metri (la lunghezza è di 405 cm, per la precisione) soltanto perché la ruota di scorta è montata sul portellone che, di conseguenza, è di quelli incernierati sul fianco.

Se da ferma la Terios sembra più grande di quel che si legge sulla scheda tecnica, basta mettersi in movimento per riscoprire che dimensioni così contenute consentono davvero una maneggevolezza fuori dal comune per la categoria. Complice un diametro di sterzata quasi da carrello del supermercato (siamo nell’ordine dei 10 metri e spiccioli), questa Daihatsu si muove con disinvoltura negli spazi angusti. Incroci tra vicoli stretti, inversioni a U e parcheggi al millimetro sono il pane quotidiano di questa fuoristradina che veste senza difficoltà i panni della cittadina modello.

Una volta fuori dalla metropoli la Terios non si smarrisce. La buona elasticità del motore e la scelta di rapporti corti consentono riprese vivaci e su strada statale ci si può quasi dimenticare del cambio. Alla tuttoterreno giapponese resta invece un po’ indigesta l’autostrada. Proprio la spaziatura delle marce costringe la meccanica a girare a regimi elevati prima che sia raggiunta le velocità Codice. Ciò limita un po’ la velocità di crociera, a meno che non si accettino compromessi in materia di consumi e rumorosità. Meglio mettersi il cuore in pace e non maltrattare l’acceleratore.

Le sorprese più grandi, però, questa Daihatsu le riserva nel fuoristrada. La potenza di 105 cv non sarà infatti eccezionale in senso assoluto ma è ben calibrata in rapporto al peso ridotto della Terios. Con la trazione integrale permanente e la possibilità di bloccare il differenziale centrale, ci si può arrampicare in posti a prima vista impensabili, fuori dalla portata di molte Suv ipervitaminizzati, grazie anche a ottimi angoli di attacco, di uscita e di dosso. Se è la vettura ufficiale della Federazione Fuoristrada, non è insomma solo per un fatto di soldi e sponsorizzazioni…

http://www.motorbox.com/Auto/VisteeProvate/Le_Nostre_prove/daihatsuterios15_dbd.html

Honda Jazz 2009

Honda Jazz 2009 - Per iniziare, la Jazz 2009 cresce un po' nelle dimensioni: la lunghezza aumenta di 55 mm e tocca quota 3.900 mm, mentre la larghezza segna un + 20 mm, per un totale di 1.695. L'altezza è l'unica a restare invariata a 1.525 mm. Lasciando stare il metro, questa Honda cambia completamente registro, per farsi più monovolume, grazie all’avanzamento della base del parabrezza che ora raccorda meglio il tetto al muso. Quest'ultimo ha forme più moderne, con due nervature che sottolineano una vaga parentela con l'avveniristica Civic e fari acuminati.

La novità più evidente della giapponesina è però l'inedito taglio dei vetri laterali, molto più estesi che in passato, tanto verso il montante anteriore quanto verso quello posteriore. Se nello schizzare il frontale i designer hanno evitato colpi di testa, in coda sono rimasti ancor più abbottonati. Le matite hanno tracciato linee geometriche che forse non faranno girare la testa ma che difficilmente passeranno presto di moda.

La fantasia tenuta un po' a freno per definire la carrozzeria ha avuto invece briglia sciolta nell'abitacolo, che è uno fra i più furbi e versatili in circolazione. L'aumento delle dimensioni esterne e del passo (+ 50 mm) ha consentito di ottimizzare lo sfruttamento degli spazi. La distanza tra i passeggeri anteriori e posteriori cresce di 30 mm. Chi viaggia dietro ha a disposizione 37 mm in più per le ginocchia, 43 per le spalle, ed è ospitato su un sedile più largo, profondo e meglio imbottito di prima.

L'asso nella manica della Jazz è però il trasformismo di cui è capace l'interno. Il sedile posteriore mantiene la seduta sollevabile, che lascia libero uno spazio in altezza di ben 1.280 mm, sufficienti a trasportare all'occorrenza una pianta che non sia per forza un bonsai. Con lo schienale abbattuto si ottiene invece un piano di carico piatto lungo 1.720 mm che diventano circa 2.400 ribaltando in avanti anche lo schienale del passeggero anteriore.

Quanto al bagagliaio, la sua capacità è di 399 litri nei modelli senza ruota di scorta e con kit di riparazione. Anche sugli altri, comunque si è a livelli d’eccellenza, per merito anche di un doppio fondo celato sotto una paratia posizionabile anche a mezza altezza per esigenze di carico speciali. E non è tutto: giunti a destinazione e scaricata la macchina, si può anche schiacciare un pisolino: reclinando i sedili si ottiene infatti una specie di letto matrimoniale. La plancia ha un look high-tech, con una strumentazione e un volante a tre razze sportiveggianti, e sfodera a sua volta soluzioni molto pratiche, come vaschette utili anche come portabibite davanti alle bocchette dell'aria e un doppio cassettino. La cura costruttiva è molto buona, all'altezza della tradizione nipponica. Le plastiche non sono morbide come su certa concorrenza ma il loro aspetto è bello robusto, grazie anche ad assemblaggi precisi e stabili.

Il pianale è inedito ma conserva un'architettura già sperimentata, con il serbatoio piazzato al centro e le sospensioni posteriori con braccio ad H, una soluzione non proprio all'avanguardia ma ottima per ridurre ai minimi termini gli ingombri e ottenere il massimo sul fronte abitabilità. Per migliorare le doti stradali della Jazz in Honda hanno aumentato la rigidità della scocca, modificato la geometria dell'avantreno e allargato le carreggiate, di 44 mm all'anteriore e di 43 al posteriore. Aria di novità si respira anche sotto il cofano. La gamma continua ad articolarsi attorno a due motori a benzina da 1,2 e 1,4 litri che in comune con i loro predecessori hanno però pochino.

i-VTEC L'evoluzione della specie si chiama i-VTEC, che nel linguaggio Honda significa fasatura e alzata variabile delle valvole. E' una tecnologia raffinata e costosa ma capace di far fare passi da gigante sul fronte del rendimento. Il piccolo 1.200 vede così la potenza massima passare da 79 a 90 cv, con una coppia di 114 Nm, per uno scatto da 0 a 100 in 12,6 secondi e una velocità di punta di 177 km/h. Sono prestazioni di tutto rispetto per la categoria, ottenute tra l'altro a fronte di una riduzione dei consumi. La percorrenza media è di 18,9 km/litro. In tal senso non fa molto peggio il più brillante 1.400 da 100 cv e 127 Nm, che sorseggia un litro di verde ogni 18,5 km. In questo caso per liquidare la pratica 0-100 occorono 11,4 secondi e si possono toccare – in Germania, ovviamente... - i 182 km/h. Questo motore è offerto anche con cambio robotizzato a sei marce i-Shift in alternativa al manuale a cinque marce standard.

lunedì 18 luglio 2011

Storia del Ferrari

Ferrari S.p.A. è una casa automobilistica italiana, fondata da Enzo Ferrari, che produce autovetture sportive d'alta fascia e da gara. Essa gestisce, tra l'altro, una delle più celebri e titolate squadre sportive impegnate nelle competizioni automobilistiche del mondo: la Scuderia Ferrari. La sede dell'azienda è situata a Maranello, in provincia di Modena ed è guidata, dal 1991, da Luca Cordero di Montezemolo, ex presidente di Confindustria e del Gruppo Fiat.

Il simbolo ufficiale, storicamente rappresentato da un cavallino rampante, è attribuibile a quello dell'aviatore romagnolo ed asso della prima guerra mondiale Francesco Baracca (1888-1918) ceduto personalmente dalla madre nel 1923 come portafortuna ad Enzo Ferrari e da allora diventato emblema del marchio Ferrari e dello stesso reparto corse.

Nell'anno fiscale 2008 Ferrari S.p.A. ha venduto 6.587 vetture per un fatturato di 1,921 miliardi di euro. La nascita della Ferrari viene spesso fatta coincidere con la fondazione, nel 1929 a Modena, della S.A. Scuderia Ferrari anche se un'analisi più approfondita farebbe emergere delle discordanze. L'imprecisione risiede nel fatto che suddetta società non produceva automobili bensì era la responsabile della messa a punto di quelle dell'Alfa Romeo, allora partecipanti a svariate competizioni.

Dunque, per essere più rigorosi, l'azienda nasce ufficialmente il 13 settembre 1939 a Modena, con la fondazione da parte di Enzo Ferrari della Auto Avio Costruzioni. Le sue prime commissioni sono la costruzione di componenti per velivoli e solo a partire dal 1947 la costruzione di autovetture diventa l'attività principale. La prima autovettura costruita, in soli due esemplari, è la Auto Avio Costruzioni 815 datata 1940, mentre la seconda, sempre in soli due esemplari, è la Ferrari 125 S, a causa della seconda guerra mondiale solo nel 1947, e fu guidata da Franco Cortese, primo pilota e collaudatore Ferrari[2]. Quest'ultima vettura è la prima a portare il nome Ferrari, non però per volontà di Enzo Ferrari ma per clausole contrattuali che lo legavano all'Alfa Romeo dove precedentemente era stato direttore del reparto Alfa Corse: clausole che gli impedivano fino al 1942 di utilizzare il proprio nome sulle autovetture da lui allestite. Nel 1957 la Auto Avio Costruzioni cambia denominazione in Auto Costruzioni Ferrari per diventare SEFAC (Società Esercizio Fabbriche Automobili e Corse) SpA il 26 maggio 1960 e Ferrari SpA nel 1965. Nel 1969 la Ferrari SpA entra a far parte del gruppo FIAT[3]. Nel 1988, alla scomparsa di Enzo Ferrari, il pacchetto azionario diventa per il 90% della FIAT mentre la parte restante diventa del figlio Piero Lardi Ferrari che rimane anche all'interno del team aziendale come vice presidente. Nel 2006 il 5% delle azioni è stato acquisito da una società finanziaria degli Emirati Arabi Uniti, la Mubadala, società che ha promosso anche la costruzione del Ferrari World ad Abu Dhabi. Ferrari è poi ritornata in possesso di questo 5% nel corso del 2010.

venerdì 24 giugno 2011

Storia del GMC

Nel 1901, Max Grabowski costituisce un'impresa denominata "Rapid Motor Vehicle Company", che ha sviluppato alcuni dei primi autocarri commerciali mai progettati. L'autocarro utilizza un motore con un solo cilindro. Nel 1909, l'impresa viene acquistata dalla General Motors e andrà a formare (unita con la Realiance Motor Car) la base della "General Motors Truck Company", da cui deriva la contrazione in "GMC Truck"(introdotto nel 1912) e restato fino al 1996. Locandina pubblicitaria del 1919

Sin dai primi anni di attività vennero pubblicizzati i record di traversata degli Stati Uniti d'America: nel 1916 un autocarro GMC viaggiò da Seattle a New York in 30 giorni e 10 anni dopo, nel 1926, un veicolo leggero compiì il viaggio da New York a San Francisco in 5 giorni e trenta minuti. Durante la seconda guerra mondiale tutti gli sforzi si concentrarono sul settore militare, con la produzione di circa 600.000 veicoli per le forze armate statunitensi. Per oltre 50 anni a far data dal 1925 GMC fu presente sul mercato anche come costruttore di autobus dopo aver assorbito un'azienda di Chicago, la Yellow Coach.

Per molti anni la produzione della GMC è stata la stessa di quella della Chevrolet con quest'ultima che rappresentava i modelli di fascia più bassa e GMC che presentava in esclusiva le versioni di maggior pregio. Si otteneva ad esempio che la Chevrolet K5 Blazer era equivalente alla GMC Jimmy salvo alcune modifiche estetiche di minor conto. La stessa situazione si protrae anche oggi con ad esempio la Chevrolet Silverado commercializzata da GMC come GMC Sierra.

lunedì 23 maggio 2011

Storia del Honda

La Honda, o meglio la Honda Motor Co., Ltd. Honda Giken Kōgyō Kabushiki Kaisha è una azienda nipponica principalmente motociclistica e automobilistica, nota anche per le ricerche effettuate nel campo della robotica. Con una produzione annua di oltre 14 milioni di motori si situa al primo posto mondiale tra i costruttori. È quotata sia alla Borsa di Tokyo (città dove ha anche sede) che in quella di New York e in varie altre Borse mondiali. Il fondatore dell'azienda, Soichiro Honda, iniziò una attività di costruttore di pistoni nel 1937 diventando ben presto uno dei fornitori della Toyota ed allargando altrettanto velocemente l'attività ad altri settori della meccanica, Soichiro Honda era noto anche perché mise sotto un'automobile da gara il motore di un aereo 8 cilindri di 8 litri di cilindrata.

Il 24 settembre 1948 Honda ebbe l'intuizione geniale che cambiò le sorti della sua industria: avendo notato la necessità del Giappone, dopo la seconda guerra mondiale di una nuova motorizzazione, ma notando altresì le condizioni economiche pessime della popolazione nonché la penuria di benzina, ebbe l'idea di montare un semplice motore di piccola cilindrata su un telaio di bicicletta. In questo modo aveva creato un mezzo di trasporto semplice ed economico, l'ideale in quel momento.

La società incominciò ben presto a variare la produzione, introducendo via via numerosi altri modelli di ciclomotori e motociclette andando anche alla conquista di altri mercati fin dagli anni sessanta.

Causa la lentezza delle altre aziende motociclistiche nello stare al passo dei tempi e delle innovazioni tecnologiche, la società nipponica ebbe vita facile nello spodestare, nel cuore degli appassionati motociclistici di tutto il mondo, le fino allora più quotate aziende costruttrici inglesi ed italiane, diventando così, già negli anni settanta il maggior costruttore al mondo di veicoli a due ruote. Da quel momento non perse più questo primato, e tutt'oggi lo mantiene. Nel 1960, cercando una continua diversificazione della produzione, la Honda iniziò anche la produzione di autovetture, dedicandosi inizialmente solo al mercato interno giapponese. Solo in un secondo tempo, anche attraverso la partecipazione alle competizioni automobilistiche come la Formula 1, essa tentò di imporre la sua immagine anche sui mercati mondiali, ma dovette attendere vari anni prima che il mercato statunitense dimostrasse un certo interesse per i suoi prodotti, troppo diverse per mentalità e dimensioni le sue vetture rispetto a quelle in uso nel periodo. Contemporaneamente anche le vendite in Europa erano abbastanza difficoltose, anche in virtù del fatto che, da parte di varie nazioni, erano state introdotte misure restrittive sulle importazioni di autoveicoli, al fine di proteggere la produzione locale (vedi protezionismo).

Il primo modello di autovettura con cui la Honda riuscì ad avere un certo successo sul mercato statunitense fu la Honda Civic, nella versione ingrandita rispetto a quella già presente sul mercato interno, presentata nel 1972, e che sicuramente trasse vantaggio dalla contemporaneità della prima grande crisi petrolifera; l'improvviso aumento dei carburanti fece in parte rivedere le abitudini degli automobilisti USA che cominciarono a guardare anche all'economicità d'esercizio delle auto. I passi successivi dell'espansione oltre-oceano furono la presentazione nel 1976 della Honda Accord, accolta molto positivamente sul mercato tanto che divenne la berlina più venduta sul suolo Americano negli anni novanta e, passo ancor più significativo, la messa in funzione, nell'Ohio del primo impianto produttivo di una casa nipponica nel territorio degli Stati Uniti. Dopo questa prima fabbrica del 1982 la casa nipponica ha aperto continuamente nuove linee produttive, distribuendole un po' su tutto il territorio americano ed aprendo il suo nuovo quartier generale in California.

lunedì 9 maggio 2011

Mitsubishi Storia

Fu fondata a metà del XIX secolo, da una famiglia di proprietari terrieri nipponici. La nascita del marchio Mitsubishi risale al 1875 come azienda di costruzioni navali, e la sua storia inizia da Il marchio è composto da "tre petali di Trapa giapponese" (anche traduzione del suo nome fonte: Wikipedia in Giapponese), che ne rappresentano i principi fondamentali:

1. responsabilità comune nei confronti della società;
2. integrità e lealtà;
3. conoscenza dei popoli attraverso il commercio.

Nel 1911 la piccola compagnia di imbarcazioni era divenuta un colosso industriale. Uno dei successori di Yataro Iwasaki, Hisaya Iwasaki, suddivise la società in quattro tronconi: i cantieri navali, le banche (integrate nel 1919 nella Mitsubishi Bank, ora Mitsubishi UFJ Financial Group), le miniere e le assicurazioni. L'automobile non era ancora prevista. Successivamente proprio la Mitsubishi fabbricò nel 1917 la prima auto giapponese in serie. Dal 1920 la società apre un altro settore, quello aeronautico. Un anno dopo sorse la Mitsubishi Electric, specializzata in prodotti elettrici ed elettronici. Nel 1922 si cominciò a costruire autobus e camion, lasciando l'automobile in disparte.

Nel 1934 i reparti navali e aeronautici furono fusi in un unico gruppo, la Mitsubishi Heavy Industries. Durante la seconda guerra mondiale, l'industria fu impiegata a produrre mezzi corazzati, tra cui il carro armato Type 95 Ha-Go e il temibile aereo da caccia Mitsubishi A6M "Zero". Ci vollero diversi anni alla Mitsubishi per riprendersi dai danni riportati agli stabilimenti durante il conflitto. Solo nel 1959 poté proporre al mercato una piccola berlina bicilindrica a 4 posti. Nel 1970 la produzione di auto fu trasferita alla Mitsubishi Motors Corporation (MMC).

domenica 20 febbraio 2011

Ford Historia

Nel corso del Novecento la Ford si espanse in tutto il mondo aprendo filiali in Europa (Regno Unito e Germania), Asia, Sud America e Africa. Inoltre acquistò altri marchi automobilistici quali Land Rover, Jaguar, Aston Martin, Volvo e circa il 33% delle quote Mazda. In seguito alle crisi economiche internazionali del nuovo millennio, la Ford registrò delle gravi perdite tanto che fu costretta a vendere tutte le case automobilistiche acquistate in precedenza e tagliare numerosi posti di lavoro. Tuttavia, la Ford fu anche l'unica industria automobilistica statunitense a non chiedere prestiti al governo USA in seguito alla crisi finanziaria del 2008-2009.

La Ford venne lanciata in una vecchia fabbrica di Detroit nel 1903 con 28.000 $ provenienti da dodici investitori, tra i quali il quarantenne Henry Ford, John Francis Dodge e Horace Elgin Dodge (che fondarono qualche anno dopo anche la Dodge Brothers Motor Vehicle Company). Durante i primi anni, la compagnia produsse solamente alcune auto al giorno nello stabilimento sulla Mack Avenue a Detroit in Michigan. Gruppi di due o tre operai lavoravano su ciascuna macchina montando componenti realizzati da altre aziende. Successivamente, la Ford si distinse per l'introduzione di nuove forme di organizzazione del lavoro (catena di montaggio), di meccanizzazione (nastro trasportatore), lavoratori ben pagati e prodotti buoni a basso costo, tanto che l'evento prese il nome di fordismo nel 1914. Grazie a queste innovazioni, la Ford riuscì a produrre la Modello T, la quale venne realizzata in oltre 15 milioni di esemplari.

Per sostenere l'espansione mondiale dell'azienda, vennero istituite nel tempo numerose filiali come Ford Europe, Ford Australia, Ford India e Ford China. Oggi, Ford Motor Company produce veicoli con diversi marchi come Lincoln e Mercury. Nel 1958, Ford introdusse un nuovo marchio, Edsel, ma le scarse vendite portarono alla sua fine avvenuta nel 1960. Più tardi, nel 1985, nacque Merkur, ma anch'esso ebbe fine pochi anni dopo, nel 1989. A partire da tale anno, Ford acquistò Aston Martin, Jaguar, Land Rover e Volvo. Al giorno d'oggi, Ford possiede gran parte degli stabilimenti in Canada, Messico, Regno Unito, Germania, Spagna, Turchia, Brasile, Argentina, Australia, Cina e altre nazioni, tra cui Sud Africa. Ford ha anche un contratto di cooperazione con la casa russa GAZ. Le operazioni non-manifatturiere della Ford includono organizzazioni come Ford Motor Credit Company, che si occupa degli aspetti finanziari legati alla vendita delle vetture.